Roma, come mi piace Roma. Sempre piena di gente che quasi fai fatica a muoverti, caotica e caciarona, a me invece rilassa e ci tornerei una volta all’anno, pure per fare il solito giro, pure per fermarmi soltanto un paio d’ore su un muretto di fronte al Colosseo, o per stendermi un po’ a piazza San Pietro, o per starmene tutta una serata ad ascoltare la Fontana di Trevi. Mi fa star bene, la adoro, e le migliori amiche lo sanno.
Sanno pure che quest’anno volevo tornarci quasi solo per mangiare, dalla mattina alla sera, e che al Colosseo mi ci sarei fermato solo per rifiatare, a piazza San Pietro mi sarei steso solo per farmi ‘na pennichella da coma post-prandiale, e che la sera non avrei avuto manco la lucidità di dire “no, signor cingalese, la tengo la macchina fotografica, non la voglio la sua foto di me che butto cinque centesimi nella fontana di Trevi”. E (quasi) solo per mangiare, partenza alle 6:30, più o meno l’orario dell’anno prima, l’anno in cui alle 7 del mattino facemmo schiattare d’invidia tutta la carrozza con delle grandissime frittate di pasta sbranate alla faccia di qualche cornettocessodastazione. E se l’anno scorso quella che poi è diventata una di queste avventure fu pura improvvisazione, quest’anno macchina fotografica alla mano, e su un pezzo di carta i migliori consigli culinari che se c’avevi sei giorni manco ce la facevi. Noi ne avevamo uno, e nel magico calderone dei suggerimenti top firmati Lorenzo Sandano, Streatit e semplicemente laggènte, forse forse, “niente niente, abbiamo scelto bene, proprio bene”. State a guardà.
Un po’ per appaciare la mia bella che praticamente ce la siamo trascinati nel nostro Roma Strit Food Tour, un po’ perché era uno di quei posti che ancora mi mancava, un po’ perché ‘na passeggiata a prima mattina avrebbe giustificato ogni possibile caloria che avrei ingurgitato da lì a poco, la giornata a Roma è iniziata tra i vialetti alberati di Villa Borghese. Tanto verde, un laghetto, le papere e le barchette, una fame di pazzi, quest’anno non ci eravamo portati nessuna frittata di maccheroni. Quest’anno avremmo iniziato alla grande, direzione Trionfale, in buone e gigantesche mani.
L’omone dalle mani d’oro più famoso di Italia, roba che se a Trionfale dici Giulio Cesare qualcuno c’ha qualche dubbio, se dici Bonci invece, lo sanno tutti. Ah Gabriele, mi dicevano che non era per niente ovvio trovarti e invece, grosso, preso dal lavoro, sei uscito dal tuo panificio proprio nell’istante in cui siamo arrivati. Perché guidati da lui, da gran padrone di casa, quello che già sempre subito incredibilmente bello diventa magico.
Il PANIFICIO DI BONCI è una esplosione di profumi. I tre miliardi di pani, i tre miliardi di dolci, focaccine, focaccione, e quelle pizze al taglio che da lì a poco sarebbero state n’epifania. Ma ancor prima di loro quella porchetta messa lì sopra giusto per fartela desiderare. Mi dicono che sia la porchetta di Ariccia più buona, “Gabriè fammi assaggià”. Detto fatto, ‘na rosetta riscaldata, taglio grossolano al coltello e inizia la festa.
Straordinaria, delicata ma saporita, umorosa, quel panino era il burro. La mia grandissima prima colazione romana, seguita a ruota da una focaccina coi fiori di zucca che era praticamente ‘na nuvoletta, una serie di pizze dall’impasto extraterrestre fatto di caverne e aria, e una pizza bianca con la mortazza che mai più dimenticherò. Una pasta così croccanticcia ma allo stesso tempo così scioglievole non l’avevo mai vista. Goduria.
Mi ci sarei fermato almeno un paio d’ore, ma il tempo stringe e Gabriele ci invita a provare tutto il resto del suo repertorio, il posto in cui risiede tutto il suo genio e la sua bravura, il suo tempio della pizza a taglio, il PIZZARIUM. Ci stavo per andà subito, ma poi m’avevano detto di farmi un giro nel mercato di Trionfale, che sta lì in mezzo tra i due bonci, per una piccola pausa a suon di fragole e il rimpianto di non aver provato anche la porchetta di quel vecchietto che ne vendeva a kg in simpatici panini da bancarella.
E meno male che ho fatto la capatina al mercato, giusto il tempo che Gabrielone ha smontato a un bonci e ha montato a n’altro. “Grandeeee”, ha esclamato quando mi ha visto arrivare al Pizzarium, forse credeva che avessi già preso una metro per continuare il tour romano, e invece no, mi ero già affezionato a quell’omaccione tutto cuore e farina. E se fino a mò degli impasti ve ne ho solo parlato, mo rifatevi gli occhi, state a guardà.
Bonci al Pizzarium fa delle cose pazzesche. Se di là era n’esplosione di profumi, qui è n’esplosione ininterrotta di colori e sapori. Gabriele sperimenta e propone abbinamenti fantastici, originali, utilizzando prodotti straordinari in un circuito che ci mette poco a passare dal piccolo agricoltore al consumatore. Ma al di là di questa entusiasmante festa in teglia, io sono ancora qui a chiedermi da quale pianeta viene quell’impasto. Una maglia sottilissima, che tiene qualsiasi topping innalzandosi in grosse bolle, capace di farsi croccante ma di sparire in bocca in una irresistibile scioglievolezza. Roba che se mi piace definire l’impasto di Ciro Salvo pura ingegneria, questo è pura nanotecnologia, è aria, acqua e un po’ di farina. Spettacolare e indimenticabile, pranzo perfetto di metà tour prima di ripartire, direzione Vaticano. Lì ci son degli amici, una vecchia avventura “consumata” l’anno prima, nel giorno della frittata. Mi han promesso il loro cappello e fanno anche dei panini dolci. Si ritorna al 200 GRADI, una coca, un panino nutella, crema di mascarpone al caffè e pistacchi e una foto con Gianni Mancini e il loro buon pane.
Pausa piacevole e rilassante, altro abbondante relax a piazza San Pietro, e di nuovo in viaggio. N’attimo al Colosseo a caricare altri amici che ci hanno raggiunto a Roma in auto, e dritti verso Testaccio. Lì c’è un cosa che volevo provare da anni, ennesima invenzione di un geniaccio che da queste parti non è nuovo, il mitico pizzaiolo romano Stefano Callegari. Vi ricordate la sua grandissima pizza cacio e pepe performed in quel di Alvignano?
Ve la descrissi così: “una pizza all’apparenza normale, coperta all’uscita da un dito e mezzo di cacio e pepe e olio di oliva. Mo’ se voi ammaccate ‘na pizza e la infornate a mò di focaccia, quando poi esce e aggiungete il formaggio, quest’ultimo non legherà, non c’è umidità all’interfaccia. E chessènventato quel diavolaccio di Callegari? Inforna la focaccia coperta da cubetti di ghiaccio, questi in cottura liquefano ed evaporano lasciando la superficie umida come quando è coperta dal pomodoro, e in questo modo, il cacio a contatto “sèncolla” e si fa quasi ‘na cremina, mentre il resto rimane asciutto e fresco per consistenza e sapore. ‘Na botta di vita, dal sapore unico e spettacolarmente violento”. Me ne innamorai, e promisi a Stefano che un giorno sarei andato a Roma a provare la sua super invenzione street. Detto fatto, spuntino pomeridiano, TRAPIZZINO.
E cos’è st’altra diavoleria? E’ il trapizzino, a metà tra ‘na pizza e un tramezzino. Si parte da una pizza bianca, impasto leggerissimo con un lievito madre di duecento anni, cotta con sopra una griglia da ingegneria callegari. Così, quando l’impasto s’alza in cottura, ne vengon fuori dei bellissimi quadrati di pizza, che tagliati in diagonale riprendono la classica forma a triangolo di un tramezzino, e a loro volta spaccati all’interno accolgono, a scelta, delle abbondanti cucchiaiate di cucina delle nonne: trippa, coda alla vaccinara, pollo alla cacciatora, misticanza, caponata, padellaccia di maiale, parmigiana di melanzane, polpette al sugo, picchiapò, seppie con piselli, zighinì, involtino alla romana, genovese, burrata e acciughe, ceci e baccalà, baccalà alla puttanesca, tanta roba ancora, e infine quella che non potevo non piglià, la buonissima lingua in salsa verde: lingua di vitella lessata e tagliata sottile che nella sua dolcezza fa praticamente da contorno neutro alla fantastica salsa di prezzemolo, acciughe, olive, mollica, aglio, olio e capperi. Mammamì.
Quando si dice tradizione e innovazione? Trapizzino. Che non lascia nulla al caso, la griglia fa miracoli. Perché sarebbe stato facile prendere una qualsiasi pizza e farne nei triangoli, ma è la chiusura ermetica ai due lati del trapizzino che lo rendono irresistibile, che praticamente vuol dire che lì dentro ci può mettere qualsiasi cosa calda, unta e sugosa, il trapizzino non si spappola e racchiude tutto in una goduria morso dopo morso, gusto dopo gusto. Perché un paio di gusti a testa – chi tre – ce li siamo fatti, in una mezz’oretta di capate ai trapizzini altrui. Che spettacolo.
Ahhhhh, spuntino consumato, mezz’oretta di sfascio sulle panchine, quattro passi a Testaccio e di nuovo metro. Si va a “recogliere” altri amici, romani de Roma, punto di incontro Piazza di Spagna. Relax sulla scalinata, assaggio di un famoso tiramisù lì a pochi passi che non mi ha detto niente di chè, ‘na mezz’oretta abbondante ad ascoltare la Fontana di Trevi e ad esprimere desideri improbabili, e in marcia verso l’ultima meta di questo Roma Strit Food Tour. “Strit” come stretto, piccolo, perché se avessi avuto un paio d’ore in più e un motorino ora stareste solo a metà del racconto di un “so fucking large tour”. E quale posto migliore per terminare il tour se non quello in cui si respira la più vera delle romanità?
FILETTI DI BACCALA’ a Campo dei Fiori, popolarmente noto come “Dar filettaro de Santa Barbara”. Roba che lo staff sembra uscito da un film di Steno o Monicelli, dove è sottile il confine tra un “prego si accomodi” e un “ma vedi di annà affanculo”. E a me che son nato prima di Tripadvisor, sta cosa piace da morire, diretti, senza fronzoli, romanacci, che fanno il baccalà come dicono loro e te lo magni come dicono loro, e che ti presenti con una fotocamera o una troupe Rai appresso, non gliene frega gnente, “il sabato non si fa asporto, se vuoi magnà la c’è un posto, e mòvete se no lo perdi pure, poi entra fai le foto, fa quello che vuoi, ma il baccalà stasera se magna al tavolo”. E mica male quel tavolino di legno di fronte alla chiesetta di Santa Barbara, quell’atmosfera rilassante, quasi romantica, ‘na birretta e du’ filetti.
Bbbbbbboni! Dalla pastella irregolare, a volte un po’ poca, a volte un po’ troppa, ma classicamente saporita, e un filetto di baccalà delizioso, salaticcio, quasi cremoso, quel viscidoso buono. Nei pezzi in cui c’era la pelle penso di aver visto dio, in un ultimo indimenticabile boccone romano, prima di ritornare al Colosseo, vederlo per la prima volta di sera e ri-innamorarmi con la promessa di tornare ancora, l’anno prossimo e quelli dopo ancora. Grazie ancora Roma, mi fai sta sempre bene, st’anno ancor di più.
PANIFICIO BONCI -> Via Trionfale 36
PIZZARIUM -> Via della Meloria 43
200 GRADI -> Piazza Risorgimento 3
TRAPIZZINO -> Via Giovanni Branca 88 (Testaccio), Piazzale del Ponte Milvio 13
FILETTI DI BACCALA’ -> Largo dei Librari 88
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