Pizzeria I MASANIELLI

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Leggenda narra che nella contea di Caserta ci sia un posto magico. Dove abita uno stregone che ha le mani grandi come grande ha il cuore. Su di lui si narrano mille storie, si dice passi le sue giornate in una caverna dalla porta chiusa, col suo forno, montagne di farina e leccornie dalla Campania tutta. Trasforma l’oro in pizze e le pizze in oro, e nessuno ancora é riuscito a capire come fa, con quelle mani così grosse, a regalare a compaesani e forestieri quei gioielli che solo nani e folletti di terre lontane riuscirebbero a plasmare. Questa è la storia del gigante buono di Caserta: Francesco Martucci, pizzeria I Masanielli, top 3 in Campania.
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La sua storia ha inizio in una caverna ancora più piccola a pochi passi dall’attuale dimora. Lì il giovane Francesco, leader simpaticone tra gli amici e tra gli spalti della squadra del paese, coltiva la sua passione per l’arte bianca. In quel buco a insegna I Masanielli, che oggi esiste ancora ed è gestito dal fratello Sasà, Francesco ammacca e concia, ammacca e concia, e nel frattempo studia, sperimenta, e come fanno quelli che poi diventano i migliori, gira la Campania e assaggia, si confronta, si intrufola nelle aziende conosciute e non, umilmente si presenta e umilmente si mette in gioco. Pochi anni e i Masanielli iniziano a diventare qualcuno, e piano piano la vecchia pizzeria d’asporto con qualche tavolo inizia a diventare stretta per un gigante del genere. Ha bisogno di spazi, non per lui che trascinato dalla passione si fa piccolo piccolo tra banco e forno, ma per chi inizia a voler bene a lui e alla sua pizza. Cerca una caverna più grossa, la trova a viale Lincoln, umile ma accogliente, e di nuovo piano piano spertòsa la noce. Oggi a Caserta la sua pizza è un cult, ogni sera svariate centinaia di avventori che aspettano che inizi lo spettacolo. Come Gandalf e i suoi fuochi d’artificio, Francesco e le sue pizze.
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Ricordo ancora la prima volta che andai a trovarlo. C’era Linda alla cassa, moglie e so(u)pporter, che ancora non mi conosceva. Chiesi di questo gigante leggendario e rimase stupita da un pellegrino così entusiasta. Attraversai veloce la sala gremita e spalancai la porta della caverna. Fu emozionante, c’era questo omone che accarezzava dischi di pasta, pareva tenesse dei fiori preziosi tra le mani. Si gira al mo avvento, incrocio di facce belle, e quella accoglienza quasi natalizia che manco Babbo Natale: “Oh oh ohhhhhhhhh”. Era felicissimo, e io non sapevo ancora che da li a pochi minuti lo sarei stato il triplo. Non sapevo che da li a pochi minuti avrei mangiato una delle pizze più buone della mia vita.

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Perchè le pizze di Francesco non puoi trovarle altrove. C’è troppo di lui in quella pasta, c’è troppo la sua storia e la sua esperienza. C’è la sua ricerca, in tutto. Impasto meraviglioso, se lo prendi tra le mani prima di stenderlo inizia a liquefarsi, è tutt’acqua. Se lo vuoi stendere bastano tre mosse: un tuffo nella farina, pochi secondi di polpastrelli e quando incredibilmente si è già stesa, un giro sul dorso della mano ed è pronta. Ha qualche segreto, qualche diavoleria da stregone, una sapienza intrinseca, chi lo sa, ma quell’impasto è di un altro pianeta. Superman.

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Dopo che l’ha cunciata con l’affetto che darebbe al figlio, se la gode vedendola crescere bella al forno. S’abboffa, addiventa ‘nu canotto, la legna ardente si fa compressore e da la dentro quelle pizze escono piene d’aria, belle che già le vedi e capisci che sarà come affondare un coltello nel burro. Magnifique.

Una leggerezza spaventosa. Che rinuncia un pò allo zuccherino piacere di una pizza cromaticamente più classica ma spinge la scioglievolezza oltre ogni limite. Al boccone si scioglie in bocca e si fa tutt’uno con i meravigliosi ingredienti ricercati da Francesco negli anni. Basta aprire il menù, sembra una guida Slow Food. C’è una cura maniacale per il topping, ci sono pizze favolose alle quali ogni settimana se ne aggiunge qualcuna nuova, perchè sarà capitato che Francesco avrà utilizzato l’ennesimo lunedì di chiusura per tuffarsi in un nuovo caseificio, un nuovo allevamento, una nuova salumeria, gastronomia, macelleria, da un nuovo contadino.

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E se il caro Francesco riesce a fare questo, nce sta niente a fà, è un grande e meriterebbe di essere in tutte le guide gastronomiche, rispetto e una stima infinita. Ma se è finito tra queste calorose righe è perchè mi ha conquistato con le pizze più semplici e difficili di sempre. Quelle che se ordini sempre quelle, è facile che quella è diventata subito una delle tue pizzerie del cuore: margherita e marinara. Ogni volta che torno, non ci scappa, se pure ne mangio tre queste sò le prime due. Gioielli rari e indimenticabili, un sogno. The Puok’s best friends.

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E come in tutte le belle storie c’è sempre una mamma. Fritture e presenza in cucina, “Mammà mò ti arriva ‘na pizza per una montanara”.

E che montanara. Putess’ bastà la classica pummarulella e bufala, ma solo dio sà quant’è bona ‘a montanara ‘cu amatricana. Caserta tra Napoli e Roma. Pornografia pura e festa per i peccatori di gola. Chiedetela ripassata al forno e solo con pecorino senza altri latticini. E verite che ve magnate, guanciale, pummarola leggeremente piccante, ‘a botta e furmaggio e quella pasta che pare ‘na nuvola dove tutto poggia. Mammamì.

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Caserta quindi vibra e vibra forte. Nella sua arena c’è un leone, un vero maestro. C’è Francesco Martucci, i suoi Masanielli e la sua pizza meravigliosa.

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Pizzeria I MASANIELLI
Viale Lincoln, 27
Caserta (CE)

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Spaghettone agli #anemoni. La ricetta gastroRock di Marianna Vitale

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No, niente. L’altra sera sono stato da una donna fantastica, Marianna Vitale, Ristorante SUD a Quarto. Lo sapevo già, lo so e quel che segue confermerà la mia devozione. Mo tra le varie cose che ho gustato c’è stato un piatto che “Marià, ‘o core mio sotto ‘e piedi tuoje”. Un piatto meraviglioso, che ho voluto omaggiare così, tra il mio pubblico, col mio slang e la mia poesia:

“Spaghettone agli #anemoni, ‘o mare ‘mmocca, e wasabi tra una forchettata e l’altra che completa il boccone, ti manda in pappa il cervello e te pulezza ‘a vocca per ricominciare il gioco. Altro ca rummeppèra”

Mo il mio pubblico va pazzo pe ricette, pure se mia mamma fa pasta e tonno vonn’ ‘a ricetta, figuriamoci mò. Commenti su commenti, ricetta, vulimm’ ‘a ricetta. E grandezza ‘e ddio che succede? Arriva Marianna, stellata, si cala nel mio mondo e mi conquisterà per sempre:

Ricetta.
Scendi a mare, pigliate ‘o cafè, metti i guanti e vai sotto agli scogli con un cucchiaio. Quando vedi una cosa che sembra una pianta tipo celeste/rosa/viola (che poi è animale) la stacchi piano per evitare il Cardarelli (altissimo potere urticante che si abbatte col calore della cottura). Se siete in due allora ne bastano 7/8, se hai fatto amicizia sulla spiaggia allora buttati a zuppa di cozze. A casa li fai sciogliere in una base aglio e olio tosta, frulli gli anemoni fino a fare una cremina (perchè in fondo si’ semp nu signore), ci ripassi dentro un secchio di pasta e mangi con sottofondo tipo “Vicine ‘o mare facimme ammore etc etc..”
Un abbraccio Egidio Cerrone

(Marianna Vitale)

Immensa, un capolavoro di letteratura gastronomica. E’ la nostra Napoli, è l’estate napoletana, è le nostre femmmene, è il nostro teatro, la nostra poesia, il nostro vivere, perchè in fondo Napoli è una città fondata sul prendersi sempre una pausa, “pigliate ‘o cafè”. Grazie Marianna per questa perla, si semp na signora.

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Hamburgeria “26 HAMBURGER & DELICIOUS”

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Cava dei Tirreni è nu paisiello meraviglioso. Il top quando sali da Vietri sul Mare e ti ritrovi subito in quella piazza da cui parte il bellissimo corso vecchio, coi suoi porticati e quel passeggio dalla magica atmosfera. E proprio prima di arrivare all’altra piazza al centro del corso, da un annetto a questa parte, la gran giocata la fai girando in un piccolo vicoletto sulla sinistra, dando un’occhiata ai numeri civici e fermandosi al 26. Scommetto che dopo qualche minuto fuori a quel buco giungerà presto un profumino delizioso e un grande far festa: sono i panini del 26 Hamburger & Delicious e la verve straripante della famiglia Falcone.

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E forse la famiglia Falcone sarà una scoperta per i forestieri, ma chi abita a Cava da anni vi dirà subito che sono una istituzione. Tutto è partito tanti anni fa da Pasquale Falcone, uno che ha fatto una bella vita rincorrendo tutti i suoi sogni. Ha fatto e fa ancora il regista, ha lavorato in radio, ha gestito per anni il locale che ha fatto la storia del posto: il Porky’s, ispirato dalla super trilogia trash anni ’80, padre insieme al cult belushiano Animal House di tutti gli American Pie and company che tanto hanno fatto impazzire i giovani degli anni 2000. Spettacoli comici, spogliarelli e buon cibo. Cabaret & Delicious, mo ce vo. Da lui hanno fatto le loro prime apparizioni quelli che dopo anni sarebbero diventati i comici più importanti del palcoscenico campano, sono cresciute generazioni, tutte quelle generazioni prima che il nuovo mercato giovanile virasse i suoi interessi alla musica tunz tunz e all’alluccare nelle orecchie dei compagni. Una bella storia, finita, ma mai finita perchè Pasquale fermo non ci sa proprio stare, e in un mondo sempre più food si reinventa. Ha un progetto in mente, sta per portarlo a termine, quando entra in gioco il suo erede di gene e di fatto, Vincenzo, capoanimatore nei villaggi, la stessa verve del padre, la stessa ospitalità, un quarto della sua ironia ma una testa piena di idee come papa lo ha fatto. Viene da una esperienza di lavoro in America in una famosa catena di hamburger, dice “Papà io ci sto, entro in gioco, ma se mi vuoi amma fa gli hamburger. Facciamo questo, questo e quello”. Il papà fa un passo indietro e lascia spazio a una nuova mente in famiglia. Sono in tre: Pasquale, Vincenzo e Massimo, cuoco e collaboratore storico di Pasquale dai tempi del Porky’s. Nasce il burger store che nel giro di un anno ha spaccato tutto a Cava imponendosi subito tra le migliori hamburgerie campane.

Perchè a una cortesia da urlo e una simpatia sfrenata, Vincenzo & co. hanno puntato tutto sull’originalità e sulla qualità dei loro prodotti. Vincenzo soprattutto, che ogni giorno appena mette piede nel locale prova sempre un panino con un hamburger, niente di più. Deve provare il pane, che è fatto apposta per lui dal panettiere di fiducia, col quale sperimenta ogni giorno e insieme al quale ha portato per primo in Campania il panino black al carbone vegetale che tanto è andato di moda nel 2015. Il risultato è un bun eccezionale, morbido, aureo e di grande struttura, tutto quello che a Vincenzo serviva per realizzare la sua idea di american burger col pane non piastrato. E insieme al pane deve provare la carne, che è sempre fresca tutti i giorni, e viene dal macellaio della serranda affianco, storico di Cava che puntualmente gli fornisce dei gustosissimi hamburger di chianina e podolica. E se pane e carne sono buoni si può partire, si apre il sipario, Pasquale entra nel personaggio e in cucina inizia il valzer di piastra e padelle.

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Vincenzo, che si alterna tra cucina e sala cercando di imitare papà, e Massimo coordinano la cucina. Asso nella manica Stella, la moglie di Massimo, avvocato calabrese che la sera fa i panini a Cava dei Tirreni, grandiosa. A lei arrivano gli hamburger cotti a puntino ed è lei che compone i burger dandogli quel tocco e quella gentilezza estetica che solo una donna può dare ad alcune delle bizzarre creazioni del 26, spesso esagerate e irriverenti. Doppi hamburger, terrazze di hamburger e kings che si alternano a singoli burger squisiti e di rara fattura grazie alla scelta originale di salse e contorni.

E se anche chi vi parla è ormai da anni passato a fare il tifo per i singoli burger da morso a cristiano, ordinare uno degli ormai cult del 26 è una esperienza imperdibile. Su tutti il The King, un bestione con chianina, cheddar, bacon, maionese al basilico, cipolle caramellate, una mozzarella di bufala ngopp a tutto e il tocco finale con una spray alimentare che fa diventare tutto dorato. Sono in cucina ad assaggiare, a guardare e ad ascoltare le storie tra i fornelli quando: “Egi corri in sala, sta uscendo un The King, goditi lo spettacolo”. Mi siedo e vedo sbucare Pasquale che col suo pallone d’oro al piatto si ferma al centro della sala e richiama l’attenzione di tutti i clienti. “Signori e signori, un grosso applauso alla star del 26, il The King”. Tutti applaudono, e applaudiranno ancora perchè se escono 40 The King, Pasquale fa 40 siparietti. Fenomeno.

E il panino nero col Pulled Pork fatto in casa.

Di cui se ne occupa il giovane Alfonso detto “Kianozza”, così soprannominato per aver inventato il Kianozza Burger, un hamburgerone di chianina spaccato in due parti che vanno a sostituire il pane. Beshhhtiale.

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E il non mi ricordo neanche più come si chiama qualcosa tipo Terrazza Martini.

E nel bel mezzo di questi giocattoloni da palcoscenico (in questi mesi è nato anche il Mamma Enza Burger in cui al posto del pane vi sono due frittate di maccheroni, e anche la versione “king”, giustament, con sopra 300 grammi di mozzarella di bufala ripiena di burrata), è dolce perdersi in un paio di burger singoli che te ne può magnà anche un paio. Perchè se le star sono folli, i singoli burger sono dannatamente fini ed equilibrati. Il morso è un tutt’uno in cui tutto si esalta valorizzando ancor di più la squisitissima carne, che è succosa, in bocca si scioglie e la bella bocca ti lascia. Non sono insevati, sono burger puliti, di altissimo livello, giusti e soprattutto corretti. Un vero burger? Se fa accussì. Poi mettici la fantasia e la cucina italiana, e vir’ che te magn.

A Cava fanno grandi hamburger, fatevi come i #porkys.

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Hamburgeria 26 HAMBURGER & DELICIOUS
Via Alfonso Balzico (Vicolo della Neve), 26
Cava dei Tirreni (SA)

CONTENUTI EXTRA IN CONTINUO AGGIORNAMENTO:

Le avventure culinarie di Puok e Med | LA NUOVA AVVENTURA DELLA FAMIGLIA FALCONE: APRE A CAVA DE’TIRRENI “23 BAGUETTE&DELICIOUS”

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Le Puokemed a Paris: tre hamburger che spaccano e cocc’ata cosa ‘e sfizio a Parigi

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Parigi è bella assai, se tieni i meglio soldi. Accussì ti pigli i taxi, non ti fai venire la peste bubbonica ai piedi jastemmando le fermate della metro che foss o dio steven na vota vicino al posto in cui dovevo andare, e magari ti mangi pure qualche piatto francese ammostro e non quell’unica chiavica turistica che trovi a prezzi da cristiani. Ma a parte questo é bella, arte a murì, giardini con la pala, posti meravigliosi, che magari te li aspettavi ancora più belli per poi capire che i direttori della fotografia dei film su Parigi sono i meglio direttori della fotografia dell’universo e che magari per goderti i presupposti devi girare in slow motion, con le lenti coi filtri di Instagram, con la femmina sotto al braccetto e la colonna sonora di Amelie nelle orecchie. Ma nfa niente, mè piaciuta ‘o stesso ed, evitando di farmi i selfie con quei càzzo di croque monsieur da autogrill e quelle crepes ro spital che stavano dappertutto, io e la mia femmina sotto al braccetto abbiamo addirittura mangiato alla grande. Francese? Comsì comsà. Questa è la storia di quando a Parigi ho mangiato 3 grandi hamburger e cocc’ata cusarella ‘e sfizio.

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No, questa è un’altra storia.

Avevo chiesto sulla pagina i meglio suggerimenti. E devo dì la verità ci avete salvato il culo anche stavolta. Prima tappa, dietro Notre Dame, un gran bel gelato, quello di Berthillon, un mastro gelataio storico che ha svoltato meglio dei franchising vendendo il suo gelato a un cuofono di negozi nella stessa zona. Infatti lui stava chiuso proprio in quella semmana ma menumal che a 500 metri ci stava Esterina, una che della vita ha capito tutto. Un buco di 1 metro quadro, un bancone frigo che manco quello dell’Algida del ’78, na quindicina di gelati di Berthillon, un coso per fare le palline di gelato, coni artigianali quanto basta e la fila sempre la fuori, che te pure movere che chiude presto e annanz a te col fare di chi tiene ‘o che ffare. Ma oh, il gelato di Berthillon è davvero buono. Quando mi ha piazzato quelle tre palline nel cono ho detto: “bah! stu gelato pare che me l’ha fatto cu paint”. E invece, in quelle tre palline ci ho trovato un’anima. Gusti a frutta, ammostro proprio, su tutti quello a frutto della passione e soprattutto melone, me pareva ‘e me magnà il succo concentrato di tre o quattro cantalupo in un’unica pallina. Brav Berthillon.

Seconda tappa, na pizzeria. Na pizzeria napoletana a Parigi. Pizzaiolo super napoletano, Gennaro Nasti. Uno che si è fatto un pò il giro del mondo e poi ha trovato la sua casa nel cuore di Parigi, primo arrondissement, pizzeria La famiglia di Rebellato. Gennaro è bravo, fa un grande impasto e anche se è costretto ad usare il forno a gas riesce a sfornare delle gran belle pizze che anche a Napoli non sfigurerebbero. Se il proprietario della pizzeria starà a sentirlo sui prodotti da utilizzare, farà parlare di se anche a millemila chilometri da Napoli, pecchè quando gli ingredienti erano quelli scelti da lui la sua pizza è stata un vero miracolo napoletano a Parigi. Pecchè o croque monsieur surgelato col formaggio e l’emmeddì to magn semp tu.

Terza tappa, alla ricerca di un mito. Un mito all’interno di un mercato. Un mercato all’interno di non ricordo manco più dove, mi ricordo solo che per trovarlo ciamma mis n’oretta e mezza. Ma ne è valsa la pena. All’interno de Le Marché des Enfants Rouges, tra un fottìo di altre diavolerie street food concetrate in pochi metri quadri, spicca lui: Chez Allain, un mito, un poeta, un artista. Tavolozza e pennello? No, crepes e coltello. Vederlo lavorare è emozionante, te ne stai la e lo fissi come un bambino. Lui ti intrattiene quasi come un prestigiatore. Prende una crepes e inizia lo show. Talmente invitante che non so come ha fatto ma fine io, che sono stato svezzato sicuramente a una braciata, ho ordinato quella stessa crepes vegetariana che avevo visto appena fare. Insalata, funghi crudi e carote a pioggia, una spolverata di sesamo, avocado tagliato al momento, un formaggio cremoso spaziale, limone grattuggiato a volo e il suo profumo inebriante, e infine il miele. Chez Allain la prepara danzando, tra una battuta e l’altra, e quando dai il primo morso a quella crepes ti metti in pace col mondo e capisci che quello che hai appena visto e che ti sembrava una mera messa in scena, era invece la stesura di un sinfonia. Stupefacente, overament.

E finalmente arriviamo ai tre hamburger. E chi se lo aspettava che a Parigi avrei trovato tre perle del genere. Livello altissimo, stile, combinazioni di ingredienti e cura del panino dalla A alla Z. Bravì.

Le Camion Qui Fume

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Le Camion Qui Fume è una capata pazzesca. È un food truck, nu camiuncino che spacca per le vie di Parigi servendo grandi hamburger in stile americano e dal gusto europeo. Ideato dalla cuoca americana e parigina di adozione Kristin Frederick, oggi Le Camion Qui Fume vanta ben cinque foodtruck in giro per Parigi, seguiti con passione dai clienti che seguono sui social gli spostamenti settimanali dei furgoncini. E dove stanno stanno c’è sempre gente, tutti in fila in attesa che il “càmion che fuma” sforni il loro gustosisimo panino. Carne davvero saporita e cotta da dio, il pane un bun coi controcazzi, formaggi veri e una gran bella mano tra contorni e salse nel raggiungimento dell’umami burgeriano. Che praticamente vuol dire quando con un pò di carne macinata, na cipolla e nu poco e bacon, ti viene il paradiso in bocca. Grandi.

(e se in quel giorno in cui andrete a trovarli, il furgoncino sosta a MK2 – Bibliothèque : 132 Avenue de France, 75013 Paris fatevi anche un giro al foodtruck Brigade che sosta nella stessa piazza. Patate fresche e tagliate. Di manzo, anatra e pollo. Anatra super, Duck Food Porn)

Schwartz’s

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Sicuramente il meno buono dei tre, ma anche qui il livello è alto. Famosissimi soprattutto per il loro pastrami, da Schwartz’s vedi girare hamburger enormi. Quasi tre dita di hamburger serviti a panino aperto. Sarà per questo che io e la femmina a braccetto ci siamo sentiti un poco alieni quando al centro di una tavolata “sociale” tutti tutti tutti facevano le queen elizabeth e mangiavano quel paninone bestiale con coltello e forchetta mentre io e soprattutto lei ci facevamo spazio e sgomitavamo per mangiare il nostro burger come un sacrosanto burger merita, che man. Pane croccante, carne forse leggermente meno saporita, ottimi gli altri ingredienti, su tutti l’anatra a mò di bacon e la cotoletta super crispy ordinata alla donna a braccetto. Devastante, energia pura per ricaricare le pile. To ddà.

Blend

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Forse il migliore dei tre. Ne ho mangiati due, ma ancora devo capire se è perchè erano troppo piccoli o erano troppo dannatamente buoni. Nu poco ‘e chest e nu poco ‘e chell, detto in francese. Anche Blend, come gli altri due, ha più punti a Parigi e manco a dirlo me so fatto nata scampagnata alla ricerca del primissimo nato. Un locale minuscolo, pochissimi posti a sedere e classe da vendere. Lo capisci dal menù superiore alla media, dalla qualità della carne che era ‘nu burro, dalla qualità del pane che lo vedi e ti pare scemo scemo e poi ti chiedi quale pataterno di panettiere lo ha fatto, dalla originalità degli accostamenti. Penso di aver seriamente goduto, anche con un panino si può, e chi ancora pensa il contrario un gran bel “vatfanculè, scè” che in italiano vuol dire: “hai mai provato quello di Blend?”

E mo che vi ho raccontato la mia dieta parigina vi devo lascià con un aneddoto. Per questo viaggio avevo delegato un amico per le prenotazioni di tutto, dato che lui nel tempo libero fa le prenotazioni di tutto. Comunque arriviamo in albergo e il portiere mezzo indiano mezzo ziopaperone ci da le chiavi e prima di salire ci chiede se vogliamo fa colazione. Era mezzogiorno e non è che li per li avevo capito assai. Il giorno dopo io e la ragazza a braccetto ci scetiamo e andiamo dritti a fare colazione arronzando il portiere con un bonjour a volo a volo, e lui non sembra dispiaciuto. Entriamo nella sala colazione e ci gasiamo malament. Cornetti con la pala, creme di ogni cosa, bibite calde e fredde a murì, toast, toastapane, salumi, bacon, sasicce, uova strapazzate, baguette. Ci facciamo come i porchi raggiungendo in mezz’ora il fabbisogno dell’Africa. “Ua Tere ‘o mostro, mo sai che facimm, domani però, oggi no, domani ci facimm ‘e marenne con le baguette e ce le portiamo appresso, ‘o funnnamm all’albergo”. “Sisi, bravo” e ci incamminiamo per ritornare in stanza, sempre ripassando dall’amico nostro. Che però tutto preoccupato piglia e mi ferma e fa: “Money money money“. E mo chist che bo che ho pagato tutto in anticipo? “Voi pagare!” Ma scusa che cosss? “Pagare, money money, colazione”. Scusa ma non tenevo la colazione inclusa ‘o zi? “No-no-no-noo, pagare, money money, you no avere colazione. Look look”. Ua, over fai? And how much? “Two breakfast, monsieur, eighteen euros”. Commmm eraaa? Abbuffammc, guarda ca quanta robb, bell Terè riman ce facimm ‘e marenne, domani però non oggi che pare brutto ‘o primm juorn”. 18 euro, Money Money Money, e l’amico mio che ha prenotato adda ancora abbuscà, afancul ahahahhahaha.

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Pizzeria “Da Attilio”

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Questa è la storia di un tempio nel bel mezzo ‘ro burdell. Allucchi di pescivendoli, bancarielli ‘e per e o musso, fritture e pizze a portafoglio, un via vai incessante di gente da ogni dove, la quintessenza della napoletanità tutta concentrata nella Pignasecca. Ed è in quei vicoli calorosi che a un certo punto può accadere la magia. Basta fermarsi lì, Da Attilio.

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Perchè quel posto sembra starsene lì senza far rumore, ma carico di quella sacralità che calamita anche il passante più impegnato, che da fuori non può non scrutare quel dolce far pizza, quel romantico covo familiare, quell’uomo placido, un pò monaco, quasi zen, che prima ti incuriosisce con quello sguardo fisso che non si distrae tra forno e bancariello, e poi ti emoziona quando quello sguardo lo incroci e ti regala un sorriso vero, pulito e senza fronzoli. Signori e signore, queste è la storia di Attilio Bachetti e del suo tempio. Pizzeria Da Attilio.

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Erede del “primo Attilio”, quel nonno che nel 1938 aprì la pizzeria. Chissà se immaginava che proprio la “supponta” riuscisse a portare l’attività di famiglia ai livelli attuali, 3 spicchi del Gambero Rosso, l’apprezzamento di tutta la stampa e l’amore di popolo e turisti. Chissà se immaginava che alla prematura morte del figlio Mario, papà di Attilio II, quella forza della natura della nuora riuscisse a mandare avanti con così tanta forza e coraggio la loro cara “puteca”. Fu proprio lei, la signora Maria Francesca, due figli a carico, a diventare in un colpo solo mamma, papà e direttore. E se oggi Attilio è uno dei più grandi pizzaioli napoletani e sua sorella Angelina governa la sala come pochi, non c’è nulla da aggiungere: Maria Francesca ce l’ha fatta.

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E che vi credete che ora che Attilio e Angelina sono grandi, lei si sta godendo la meritata “pensione”? A ‘na guerriera come lei devi solo cacciarla, lucida come non mai, sergente di ferro, che si emoziona ancora come una bambina tra quei pentoloni per deliziare i clienti anche a mò di trattoria, e ancor di più a preparare insieme ad Attilio uno dei must indiscussi della casa: il crocchettone di salsiccia e friarielli.

E’ un gioco di squadra. Probabilmente lei scaura le patate, Attilio ammesca e concia, “staglia”, pesa e va di provola. Infine due palmi di mano sul pallottone, annanz’ a aret’, annanz’ e aret’, il cilindro si forma e il crocchettone prende forma. Tocca di nuovo a lei, mi chiama per dirmi che mò viene la fase importante, ma sorridendo e sghignazzando mi dice pure che quella parte non può farmela vedere. Si mette davanti, non mi fa copiare e dice che “è un segreto, perciò giuvinò ti piace così assai la nostra impanatura”. Quel che si sa e che sicuramente gli conferisce quel sapore tremendamente rustico e spettacolarmente croccante è ‘o pane rattato, che commerciale non lo è manco per scherzo. Attilio è masto ‘e l’impasto, pizza sì, ma anche pane. E che pane. Con le Att-caverne.

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Ne fa qualche pezzo ogni mattina quando il forno è ancora basso. Fortunati chi sceglie la trattoria, fortunatissimi chi si piglia i fritti della casa. Pecchè quello che esce da questo pane non è semplice pangrattato, è polvere magica in grani grossi.

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L’impanatura è pronta, il segreto è custodito dietro quelle spalluccelle ‘e femmena, tocca di nuovo a lei, si frigge. Nessuna friggitrice all’avanguardia, nessuna schiumarola di battaglia, pentola ‘e casa piena d’olio e un paio di forchette, p’avutà e pe girà, “piano piano vedi giuvinò”. Alla fine che poesia quando è pronto, dorato e promettente.

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Scrocchiarello al taglio di forchetta, il cuore morbidissimo, di patata vera, filante di provola, e stimolante per il leggero amariccio e piccante del friariello. Qualche decina di centimetri di goduria. Food Porn overamente, Huge.

Decisamente interessante, scoperta emozionante, la frittatina. “Attì, ma a me nun me piace la frittatina con l’impanatura, esiste un solo posto al mondo in cui mi piace”. Manco a dirlo interviene lei: “Bello, ma tu devi assaggiare e poi mi dici. Attì fagliene una a volo a volo”.

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Marò, scemo di un Puok, allo vir’ o film e nun ‘o capisci? La stessa impanatura spaziale, lo stesso cuore filante, la besciamella non invadente, i piselli saporiti e quei tocchetti di salame accunciati col vino rosso. Che meravigliosa malatìa. Buonissima, ufficialmente la seconda frittatina al mondo con impanatura ad entrare nel cuore di un giovane Puok. Ahhhhh.

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E se vi dicessi che il bello deve ancora venire, non mi credete vero? Fermatevi, non scappate, la pizza di Attilio è meravigliosa.

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La “suppont prodige” è un vero maestro e il suo impasto ha pochi rivali. Il segreto? Lui lo accenna, è la maturazione. Quella che ottiene con una lunghissima lievitazione, almeno 24 ore, qualche volta anche di più. “Egì, come era sta pizza? Vuoi sape quando l’ho impastata? L’altro ieri, so 36 ore, oggi ti stai mangiando l’impasto premium”. Ed è per questo che la sua pizza ha quella crosticina millesimale così bella e saporita. Ed è per questo che ne puoi mangiare due e non le senti. Ed è per questo che la pizzeria Da Attilio è il sogno di tutti i veraci, quelli che amano ‘a pummarola schiacciata con le mani, i latticini tagliati a mano, uoglio e furmaggio generosi, e la bellissima sensazione di poterne mangiare più di una.

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Leggerezza e sapori di una volta, profumi di una volta. Quando entri in quel tempio cambi anche aria, e come in poche pizzerie storiche senti tutto il profumo della vera pizza napoletana. ‘Na ventata ‘e vasinicola.

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E infine la pizza che più mi fa impazzire in casa Attilio. La “Appennini”. E’ a forma di stella come la sua più celebre pizza, la “Carnevale”. Ha le punte ripiene di ricotta e al centro fiordilatte, zucchine e funghi porcini. Ed è una capata assurda, a tal punto da definirla geniale, più io che il suo creatore. E mo vi spiego perchè.

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Perchè al centro i due ingredienti principali sono forti, protagonisti, gonfi di carattere. Le zucchine sono saltate in padella con la pancetta e sono spettacolari, zucchero allardiato. I funghi porcini, per definizione e perchè quì sono ancora più spaziali, hanno un sapore intenso. Il fiordilatte leggermente smorza tutto, ma sono le punte di freschissima ricotta a far partire il trip, lo sballo. Basta tagliare la pizza in otto, ed ogni fetta morderla dal centro verso la punta ripiena. Il viaggio inizia forte, strasaporito, la ricotta ti addolcisce la bocca, il cornicione te la pulisce, pronta per la prossima fetta. Di nuovo sapori forti, la ricotta addolcisce, il cornicione pulisce. Di nuovo sapori forti, la ricotta addolcisce, il cornicione pulisce. It’s like Rum e Pera. E’ la mia droga.

Pizzeria DA ATTILIO
Via Pignasecca, 17
Napoli (NA)

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Hamburgeria “Lelena Burger & Co.”

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Aversa. Aversa da qualche anno sembra Las Vegas. Tutto attorno il nulla, ma metti piede ad Aversa e c’è un mondo. Un fottìo di gente, negozi, luci e locali. Se oggi a Via del Seggio c’è il traffico a piedi, il merito è anche e soprattutto dei protagonisti di questa storia. Ragazzi in gamba, talenti puri, giovani. Benvenuti nel coloratissimo mondo dei fratelli Girasole. Vittorio, Gennaro, Danilo e Luca.

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E no, il racconto non parte da questo mitico capellone, lui è Luca ed è chi mi ha raccontato questa storia. Tutto parte da uno studio grafico a Via del Seggio, quando più che Las Vegas sembrava Aversa. Dopo l’esperienza maturata il primo a Shangai e l’altro a Milano, Danilo e Gennaro decidono di aprire uno studio su strada, e scelgono quella che allora gli sembrava “la via più bella di Aversa”. Ma sono bravi, cacchio se sono bravi, l’attività va quasi subito alla grande, anche troppo. Iniziano a spuntare i primi locali attorno allo studio, marchi e brand, non sto manco a dirvelo, disegnati da loro. Il frastuono di una Via del Seggio piano terra e in Las Vegas divenire, non è più adatto alla mole di lavoro per i nuovi e tanti clienti. Lasciano allora il piccolo studio che si trasferisce di fronte, primo o secondo piano non ricordo. E mo che si fa col quel locale? Si fitta? Si vende? Macchè, i fratelli Girasole sono come un cappello magico, ed ecco che entra in scena il capellone. Luca è appassionato di enogastronomia, ed è uno che con le persone ci sa fare. “Apriamo una salumeria…”, propone Danilo, “…una salumeria di notte. Ci sono troppi kebab in giro, e cosa c’è di meglio di una bella ‘mposta coi salumi quando apri il frigorifero la sera?”. Quattro chiacchiere con gli altri fratelli, il progetto, le materie prime, il concept grafico, un grande design degli interni e nasce il primo gioiello della famiglia Girasole, la SALUMERIA DEL SEGGIO.

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Rosette, ciabatte, salumi scelti con cura, formaggi. Ma anche murzilli, polpette fritte e al sugo, contorni alla mamma, creme e confetture. Quattro cinque tavolini, per un panino con la mortazza da sogno e un bicchiere di vino, la compagna di un Luca irresistibile e Peppe, ‘o salumiere. Che coppia, che posto. God save the Pig!

Ma questa è un’altra storia, e magari ci torneremo. La Salumeria del Seggio spacca, presto. Ma è un buco, veramente qualche metro quadrato. “Ci allarghiamo? Ne apriamo un altro? Ne apriamo uno più grande?”. No, i fratelli Girasole si rimettono in gioco e pescano dal cappello un altro sogno, quello grande, quello che avevano in mente molto prima della Salumeria, quando sulla terrazza di casa loro cuocevano hamburger in quella che amavano chiamare “la serata americana”. Vittorio, il fratello più grande, è l’appassionato di burger, quello che alla fine lo mettevano a cucinare. Ed è lui, sempre insieme a quel matto del capellone, che prende l’iniziativa. Trovano un locale, è perfetto, lo prendono senza neanche dirlo agli altri fratelli che ci avrebbero voluto pensare un altro poco. Ma sono fratelli uniti, si capiscono subito e Danilo e Gennaro lavorano subito al nuovo progetto. Cuocere hamburger, in stile americano ma sempre un pò vicino alla loro tradizione, alla loro famiglia. Anche questa volta non sto manco a dirvelo, locale da paura e marchio che in un anno ha già fatto storia. Dedicano la nuova hamburgeria alla mamma scomparsa quando erano piccoli. Nasce LELENA BURGER & CO., l’hamburgeria più figa della Campania.

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E già da fuori te ne innamori. Il perchè è in quelle vetrate. Logo stupendo in vista, ma il bello è quel che si intravede dietro. Un pò come nei film americani, passeggi e scruti dalla vetrata quel che succede nel locale, le persone che mangiano felici e si raccontano qualcosa, lo staff che si distingue per le simpatiche t-shirt e che porta in dono bellissimi panini, le luci soffuse, Vittorio al banco, la cucina dietro di lui.

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Entri e ti godi subito i particolari. La parete tappezzata dalle loro grafiche, un angolo in fondo a sinistra che ricorda la loro Salumeria, la sala relax per sopperire alla lunga attesa.

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Pouf, divanetti e tavolini. Una luminaria spaziale. Appetizer per fregare l’attesa e magari una bella birra ghiacciata. Un’ora abbondante accussì, da metterci la firma.

Ma finita l’attesa inizia lo show. Dalla cucina arriva un profumino, dalla finestra dietro al bancone spuntano i panini e si intravede lo staff al lavoro. Capo brigata Massimo Grassia, top player.

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Massimo è bravo. Silenzioso e preso dal lavoro, ma simpaticone nei momenti di relax, è uno che tratta la carne con maestria e sensibilità. I suoi hamburger di marchigiana non li ammazza, li accarezza. Controlla cottura e temperature, concede loro tutto il tempo necessario a cuocersi. E nel frattempo fa scoppiettare il bacon, strapazza le uova o con la formina prepara fantastici occhi di bue, sminuzza il tacchino per i Club Sandwich, gioca di cloche e fa fondere il cheddar. Spettacolo in slow motion.

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Cotta la carne, formaggi e bacon, il panino è allestito in perfetto stile yankee. Pane artigianale, per gli amici bun, fatto in casa, non piastrato, e un tripudio di insalata iceberg, pomodori, e contorni da boom, su tutti le cipolle infarinate e fritte. A tavola il panino arriva aperto, ed è pazziella del cliente ricomporre le due metà in un unico grande paninozzo d’autore. Scelta estetica che in Campania è ormai una firma, quella di Lelena.

I panini di Lelena sono deliziosi, puliti e giusti. Di altissima qualità. Quando la carne è cotta al sangue mantiene tutto il suo sapore naturale, rendendo il panino succoso e succulento, piacevole al morso che ti riempe la bocca, so 200 grammi di hamburger da 2 cm abbondanti, lascio immaginare doppio. E se il classico cheeseburger spacca sempre, i Girasole puntano a stupire tutte le settimane. Ogni martedì infatti esce il nuovo “panino della settimana”, quello che amano definire “la scelta gourmet”. E a un anno dall’apertura hanno festeggiato proprio così, dedicando alla loro mamma il panino della settimana, il LELENA: doppio hamburger di marchigiana, doppio cheddar, marmellata di cipolle e bacon, guacamole fatta a mano, insalata iceberg e pomodoro ramato. Come a dire: “Puokemmè, sto panino aspetta a te!”

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E Puokemed ci torna presto, a provare il Lelena e tutti gli altri panini, tutte le altre idee di quattro fratelli che hanno spaccato e continueranno a farlo. Qualche mese fa inserii Lelena Burger & Co. in un mio articolo su Il Mattino sui 10 migliori panini in Campania e definii #hipster il suo stile. Oggi rettifico, il loro non è hipster. Il loro stile è semplicemente #sunflower.

Alla signora Lelena, a Maria Laura e a tutte le mamme che fanno i figli belli.
#ohana #lovemade

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Salumeria SALUMERIA DEL SEGGIO
Via del Seggio, 120
Aversa (CE)

Hamburgeria LELENA BURGER & CO.
Via Giolitti, 7
Aversa (CE)

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Paninoteca “Da Francesco”

puok e med paninoteca da francesco 8 panino

Questa volta è successo quello che succede un po’ in tutte le scuole. E non sto parlando di quelle scuole in cui passiamo la nostra infanzia, parlo di scuole di pensiero. Come quella dei filosofi di Mileto, la scuola di Hokuto o quella del panino di Ercolano. E ci perdoneranno Talete e Kenshiro, ma a sto giro parliamo di porchetta completa.

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La scuola di Ercolano nasce nella seconda metà degli anni ’70. Il fondatore inconsapevole, il pioniere di quello che sarà l’ABC del panino di strada campano per oltre trent’anni è un giovane intraprendente e dalla verve fuori dal comune: Luigi Reale. Luigi parte con un camioncino ambulante, ma a suon di panini a soddisfazione e un intrattenimento da animale da palcoscenico conquista presto le folle e una piazza di Ercolano, diventa l’amico di tutti, per sempre. E ancora oggi ogni sera allestisce il suo show, arriva in piazza col suo camioncino tutto led e musica da circo, si traveste da comico di razza, e sfama i figli e nipoti delle prime generazioni che ha cresciuto. E tutti sanno che la scuola di Ercolano, quella del mezzo sfilatino generosamente farcito, nasce in quella piazza, quella che oggi è la piazza di Gigino è sempre un amico. Da lì centinaia di camioncini in tutto il vesuviano, tra Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio. Molti hanno chiuso dopo poco, molti altri hanno aperto paninoteche, qualcuno esportando quel preciso stile anche lontano dal Vesuvio. E “questa volta è successo quello che succede un po’ in tutte le scuole” di pensiero. A un certo punto, quando sembra che quella scuola sia ormai sull’orlo del tramonto, emerge un nuovo giovane che la rinfresca, la rigenera e la ripropone all’ennesima potenza, in un 2015 in cui il panino va sempre più yankeezzandosi e spesso con risultati strabilianti. Invece no, a San Giorgio brilla la nuova stella della scuola di Ercolano, benvenuti “Da Francesco”.

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Francesco, neanche 30 anni, di cui 14 passati a far panini. Come tutti ha fatto ‘a scola, quella delle piazze e dei camioncini. Quella delle tarantelle da territorio e della competizione sfrenata. Quella che lo ha portato un paio di anni fa ad avere la sua piccola paninoteca tra Portici e San Giorgio a Cremano, a due passi dalla pizzeria dei fratelli Salvo.

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“Non andarci troppo tardi che tutte le sere finisce sempre i panini. Vai presto che c’è gente”. Per un bel po’ mi son chiesto cosa avesse questo Francesco, cosa avesse di più di tutti i paninari della scuola di Ercolano per meritarsi un passaparola così convinto e condiviso. Poi ci so andato.

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L’ho osservato lavorare, Francesco è bravo, Francesco è un animale da guerra. E’ veloce, velocissimo, ma non perché va di fretta, ha tecnica da vendere. E un po’ col fare da showman, su quella piastra ci balla, è sua, la domina. Ecco perché i suoi panini, all’apparenza enormi e grossolani per lo strabordare delle patate alla piastra, sono ercolanamente perfetti e azzardo un “leggeri ed equilibrati se il panino lo si ordina a cristiani”. Pane leggero e non invadente, lascia completo spazio agli ingredienti e il passaggio finale sulla griglia ardente lo impreziosisce di un sapore affumicato e di una fragranza da leggerissima bruschettatura. Gli hamburger, grazie ai movimenti quasi tentacolari del padrone di casa si cuociono in fretta sulla griglia, raggiungendo un profumo deliziosamente smoked e un aspetto leggermente caramellato, ma rimangono succosi e perfettamente, ercolanamente ‘nzevati.

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La porchetta di Ariccia sfriccica sulla piastra, la provola affumicata di Agerola fonde su di essa, le patate vengono sminuzzate al momento insieme ad altra provola e sottiletta [quest’ultima a me non piace e ho chiesto le patate alla piastra solo con provola, ma si sa la scuola di Ercolano vanta il record mondiale di consumo di sottiletta] e via, tutto nel mezzo sfilatino. Ma prima di passare all’aggiunta di altri contorni [si, tutti quelli che vuoi, è la scuola Ercolano], melanzane a funghetto uber alles, la firma di Francesco: al panino appena ultimato gli fa fare un ultimo giro di griglia, che regala all’ambita marenna quelle linee nere che sulla provola che straborda con le patate alla piastra diventano strisce ormai riconoscibili. Un marchio di fabbrica.

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Alla fine il panino di Francesco è proprio di quella bontà verace, diretta e godereccia che ti aspetti da un panino della scuola Ercolano, ma all’ennesima potenza, super Sayan. E’ la versione spinta, la versione hot, Food Porn Ercolano.

Vuoi vedere che ho trovato il mio nuovo panino della notte?

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Paninoteca DA FRANCESCO
Via Martiri di via Fani, 8
Portici (NA)

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Pizzeria “50 Kalò di Ciro Salvo”

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     50 kalò /ʧiŋˈkwaːnta kaˈlɔ/ 
            50 è il numero che nella cabala rappresenta il pane, l'impasto
             Kalò deriva dal greco e nel gergo dei pizzaioli vuol dire “buono"
             "50 kalò" vuol dire "impasto buono"

Quando ho sentito parlar di lui la prima volta, Ciro Salvo era già una star. Una di quelle star in grado di illuminare anche posti lontani dai riflettori. E l’effetto era stranissimo, un po’ come vedere Daniel Day-Lewis recitare in una fiction, un po’ come vedere Maradona giocare nel Sassuolo. Ricordo il giorno in cui decisi di andare a trovarlo, chiesi a un caro amico di accompagnarmi e la sua risposta fu seguita da un grandissimo hurrà: “Tieni in mano, che adesso Ciro arriva a Napoli”. L’ho aspettato, quando all’inaugurazione non ho potuto esserci ho pazientato, ma quando finalmente l’ho incontrato me ne sono innamorato.

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Perché Ciro rappresenta il pizzaiolo perfetto nel 2015. Lo studio dell’impasto e la continua ricerca dei migliori ingredienti lo proiettano nel futuro. L’uomo dietro la stella, la sua umiltà e il suo essere comunque così dannatamente semplice e senza fronzoli lo legano alle preziose radici del passato, quello dei pizzaioli vecchia scuola, capa ‘e bancariello. Ciro non è altro che quello che così brillantemente manipola: farina, lievito e soprattutto acqua, tantissima acqua.

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Perché l’impasto di Ciro chell’è: acqua, “pura ingegneria” e ricordo ancora con qualche brivido il primissimo boccone. Il coltello che affondava la lama come in un burro, nel cornicione che al pigiar del dito respirava ritornando nel suo stato regale, l’incredibile scioglievolezza. Alzai la faccia, guardai la mia commensale e riuscii a dire soltanto due parole: ZUCCHERO FILATO. Wow!

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E’ qui infatti, a due passi dal lungomare di Mergellina, che ho trovato la mia margherita. Il pomodoro è ‘nu zucchero, il fiordilatte delicato, l’olio una straordinaria chicca, così buono che potrei piegare la pizza a libretto e berlo, come se, insaporito da tutto il resto, sgorgasse da una fonte nella piega del cornicione. Pornografia EVO.

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Ma se la margherita (insieme alla marinara) è sempre stato il mio banco di prova preferito, da Ciro c’è da perdere la testa con l’incredibile varietà di gusti, colori, sapori. Un piccolo paradiso di pizze, uno di quei posti in cui devi progettare un piano di assaggi su scala annuale. Per sorprenderti e coccolarti, come se fosse ogni volta una nuova scoperta. A partire dai fritti.

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Dove il top è la montanara classica, così leggera che il ragù impreziosito di carne di marchigiana, il basilico e la spolverata di grana sembrano poggiare su una nuvola. Solo così la pizza fritta si fa antipasto gustoso, ambito, ordinato [mo ce vò] con leggerezza. Spettacolare, per freschezza e gusto, la variante con pancetta e burrata.

‘O llatte ‘mmocca, prima del piccolo gioiellino della casa: la frittatina. Una di quelle la cui grandezza è inversamente proporzionale alla bontà. Pecchè è piccerella, come la intende Ciro ‘nu murzillo “che deve aprì lo stomaco senza appesantire”, ma esplode in bocca grazie al delizioso cuore di ragù. Una bomba tascabile, perfetta compagna del perfettibile panzarotto provola e salame.

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Ed è solo l’inizio di un grande sogno, basta fare due passi, arrivare a bocca di forno e godersi lo spettacolo. Ciro pesca l’ostico panetto e lo ammacca come solo lui sa fare, è il “suo” impasto, è sangue del suo sangue. Al suo fianco un “conciatore”, e ammacca e cuoncia, ammacca e cuoncia le pizze arrivano al “fornaro”, che in pochi secondi le avvampa lasciandole morbide come Ciro le ha fatte. Belle, bellissime con l’aggiunta dei salumi in uscita, ‘na rattata ‘e furmaggio e l’ultimo giro d’olio. Una sequenza da guardare in loop senza mai stancarsi, di volta in volta cambiano i colori, esplodono i profumi, e nascono capolavori.

La pizza dell’Alleanza con cipolla ramata di Montoro, lardo e conciato romano, la pizza Lasagna con macinato, pomodoro e ricotta, la pomodorini e bufala, la fiori di zucca ricotta e salame, la margherita salame e pecorino, la mitica e insuperabile margherita con la nduja, quella con macinato e papaccelle, la salsiccia e funghi porcini, quella col cotto San Giovanni, la classica marinara di una bontà pazzesca che ti sembra di mangiare pomodoro appena colto e schiacciato tra le mani, la marinara con le scarole la cui freschezza è paragonabile solo alla potenza con la quale ti esplodono in bocca chiapperi ‘e aulive, quella col capocollo di Martina Franca, quella col carpaccio di manzo, l’eccezionale Ripieno Bianco che è bello, buono e giusto, la soffice pizza fritta.

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Un tempio della pizza nel cuore di Napoli, dove ‘stu disco ‘e pasta si fa sacro, lo si venera e lo si onora. Al suo interno vi è un vero, autentico maestro dalle mani d’oro, un mito, an instant classic, un uomo come tanti con una sola ambizione nella vita: fare un “impasto buono”, 50 Kalò.

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Pizzeria 50 KALO’ di CIRO SALVO
Piazza Sannazzaro 201/B
Napoli (NA)

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Panineria “IUST IUST”

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Quella che sto per raccontarvi è una storia le cui pagine si scrivono di notte. Di quelle notti in cui hai mangiato fuori ma non ti sei saziato, o quelle in cui la tua ragazza vuole un cornetto mentre tu vuoi un panino con la porchetta. O quelle ancora in cui hai bevuto un po’ troppo e sai che c’è solo un posto che può rimetterti in sesto con un essenziale e sostanziale panino vecchia scuola. Perchè una panineria del genere aperta alle 2-3 di notte svolge un servizio all’umanità. Nome e cognome: Iust Iust, il mio panino della notte.

puok e med iust iust panineria

Ricordo precisamente la prima volta, non mi fidavo! Quella scritta “kebab” così in vista. Aveva tutto per essere una anonima panineria di quartiere che campava con quella che era la moda del momento e avrebbe chiuso nel giro di un annetto. Ma mi è bastato entrare, e rendermi conto che quel piccolo buco era gestito da uno che quel mestiere lo conosceva e come. Si notava una firma, una scuola, l’inconfondibile scuola di Ercolano.

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Enzo Mussorofo, che col suo piccolo gioiellino oggi stravince a Fuorigrotta, si è infatti fatto e formato tra le piazze del vesuviano. Le piazze di Portici, San Giorgio ed Ercolano, quelle di quei camioncini nati dall’esempio del più famoso di tutti, il mitico Gigino è sempre un amico, che, a parte il personaggio comico che ci ha regalato in tutti questi anni, ha fatto scuola. Lo sfilatino scostumato. La comanda senza contorni. L’aggiunta di provola e prosciutto cotto alla carne scelta, per l’ormai celebre variante “completa”. I salamini e i gamberoni come appetizer. Le patate fresche. L’infinita e sempre rifornita batteria di contorni (la regola è minimo tre varietà di funghi), belli in vista e di ottimo aspetto, da scegliere al momento quando pane, carne e formaggi son stati piastrati e manca solo quell’ingrediente “che sponsa”. Da lì ho riconosciuto la scuola, per quello vulett’ pruvà. E mo che ne avrò mangiati millemila è venuto il momento ‘e ve ne parlà.

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Iust Iust perché ancor prima di nascere e c’era solo il piccolissimo locale, in ogni incontro con l’architetto era sempre la stessa storia: “e qui ci mettiamo la piastra, che ci va iust iust”, “e qui ci mettiamo il frigorifero oì, ci va iust iust”. Ed è bello vedere che partendo da qualcosa di così piccolo, sono riusciti oggi a far grandi numeri. Grazie a un panino semplice e gustoso, rassicurante, perfetto in quelle serate in cui non vuoi sbagliare e vuoi andare sul sicuro.

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E il mio “sicuro”, il mio toccasana dopo sbornia, il mio perfetto spuntino prima di andare a dormire non è altro che lui: il panino con la porchetta delle 2 di notte, un must. Porchetta, provola, patate, melanzane a funghetto “bianche”, un goccio di maionese e la soddisfazione è completa.

puok e med iust iust panino porchetta provola melanzane a funghetto patate

Pane leggermente piastrato, poca mollica e per nulla invadente. Dà spazio alla farcia e lo si vede allo “spacco”, il taglio a metà. Composizione che regala al panino di Iust Iust quel godurioso boccone ad ogni morso, saporito, lipidico e scostumato. Bbbono!

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La notte, allora, ha tutto un altro senso. L’ultima botta di vita. L’ultima scorpacciata con gli amici. Sporcandosi e ‘nsevandosi alla vecchia maniera, alla vecchia scuola. E sai che andrai a dormire felice, con la pancia piena e il sorriso alla Robert De Niro in C’era una volta in America, quello che sa di aver scampato ancora una volta quel cornettino da femminucce.

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puok e med iust iust panino porchetta provola melanzane a funghetto patate egidio cerrone

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Panineria IUST IUST
Via Caio Duilio 36
Napoli (NA)

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Agribraceria “FATTORIA CARPINETO”

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Carne spettacolare, panini deliziosi, atmosfera unica e una gran bella realtà. Paninoteca? Panineria? Braceria? Paninomacelleria? Semplicemente ‘nata cosa. Questa è la storia di quando ho trovato il paradiso all’improvviso.

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Da qualche parte nei pressi del Policlinico nuovo. Vi è un supermercato, all’apparenza l’ennesimo semplicissimo supermercato. Ma chi negli anni ha avuto la fortuna di fare un po’ di spesa lì, anche solo una marenna per la fatica, non avrà fatto a meno di notare che forse forse quel Superò ha sempre avuto qualcosa di speciale. Chi vi scrive ha studiato da quelle parti, ci ha lavorato, e solo oggi mi spiego perché ci son sempre ritornato con piacere, anche per una semplice rosetta ripiena di cotto San Giovanni. E sempre forse forse, sarà per quello che quel bancone di macelleria proprio lì accanto mi ha sempre incuriosito. Bello, ricco, invitante, non sapevo che dietro quel bancone tutto colori e diavolerie ci fosse una così bella storia. La storia di Pasquale e di tutta la famiglia Rusciano.

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Tutto parte dal nonno di Pasquale, vecchio proprietario dei terreni sui quali oggi è presente la nota azienda ospedaliera. Espropriato, costretto a spostarsi nel suolo in cui oggi è presente il supermercato, una volta risarcito ha investito tutti i suoi soldi nell’unione della sua famiglia. Comprando terreni lontani, vedendo lontano. Oggi infatti i suoi figli e nipoti hanno fatto di quei terreni una azienda, o forse forse un sogno. A Presenzano, casertano quasi laziale, dove maestosi vitelloni marchigiani crescono forti, nei recinti e nel verde della Fattoria Carpineto.

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Dove tutto è a km 0, i vitellucci crescono in maniera naturale e mangiano solo quello che la fattoria produce in quelle stesse terre. L’obiettivo è produrre grandi bistecche, e da poco quello di lavorare tutto il resto della carne in maniera sostenibile e di gran qualità. Da lì è nato il Marchigiotto, un gustoso hamburger alla brace. Dal Marchigiotto è nato il panino che porta il suo stesso nome. Dal panino è nata l’idea. Da quella idea, in quello che per noi avventori è il cortile del Superò, ma per la famiglia Rusciano è il cortile di casa, da un mesetto è spuntato un piccolo camioncino.

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Lì per una marenna al supermercato che non facevo da un paio di mesi, tremendamente incuriosito, non potevo non chiedere. Cosa fate? Panini. Con cosa? Hamburger o salsiccia. E come li cuocete? Alla brace!

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Provato. Goduto. Sbavato. Due giorni e son tornato. Di sera, quando tutto diventa più magico, gli hamburger in cottura sono tanti e nell’aria si respira solo un grandioso e accogliente profumo di carne. Che ardino i carboni, che sfriccichi il grasso buono, vi si riempia lo spirito ancor prima delle fauci. Benvenuti nel paradiso all’improvviso.

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Un paradiso sfiziosissimo, dove le sedie sono cassette di legno, i tavoli nient’altro che un tris di pedane da supermercato, e le ordinazioni vai a farle direttamente dentro. Dentro al Superò, alla cassa.

puok e med fattoria carpineto 08 ordinazioni alla cassa

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puok e med fattoria carpineto 10 tavoli e sedie

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E in questa atmosfera magica non resta che sedersi e godersi tutto il ben di dio che verrà. Da quel camioncino magico esce roba buona, e gli antipasti, manco a dirlo, sono in tema: bistecche di scottona, arrosticini di agnello, bombette pugliesi, tagliata, salsiccie al vin cotto. Carne, carne, carne e quel cortile pare ‘na festa ‘e paese.

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Una brace commuovente nel suo essere così perfettamente street: carboni roventi sul fondo e cottura in verticale. Affidata alle mani sapienti di Luigi, che di giorno fa il chianchiere in macelleria e la sera doma i due bracieri. Come a dire, se la canta taglia e se la suona cuoce.

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puok e med fattoria carpineto 14 arrosticini brace

puok e med fattoria carpineto 15 arrosticini friarielli

puok e med fattoria carpineto 16 salsicce al vin cotto

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puok e med fattoria carpineto 18 bistecca scottona

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La bistecca è qualcosa di grandioso. Semplicemente fantastica, solo un po’ di sale di Cervia, pura. 60 giorni di frollatura per un sapore unico e una splendida scioglievolezza. Burro rosa, una guerra di mani per accaparrarsi quanti più pezzi possibili, da mangiare così, tra le dita, nature. Ottimi gli arrosticini di pecora abruzzesi, fantastico l’attrezzo ad hoc per prepararli. Bone da paura le bombette: praticamente delle piccole braciolette di locena di maiale, tonde, farcite di spianata romana, provolone piccante e un po’ di mortadella. Ne avrò mangiate una decina senza scrupolo alcuno.

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E la tagliata? La ottengono da pezzi meno nobili della bistecca, e per conferirgli quello straordinario sciogliersi in bocca, la frollano per ben 120 lunghissimi giorni.  A soli 8 euro, è un viaggio di sola andata per il limbo infernale dei goduriosi. Mo m’accatto ‘na casa in quel limbo. O al massimo, in quel cortile. Spettacolo.

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Antipasto che vale un pasto. Perfetto, e malefico. Quando la carne è buona ne vuoi sempre di più, nun’ sì mai sazio. E se quindi sta bella braciata ti ha aperto lo stomaco, il panino ci sta davvero alla grande. E vuoi mettere che davvero non si può rinunciare a un grande hamburger cotto alla brace? Quanto segue è dedicato a tutti quei folli per i quali l’hamburger non va mai cotto alla brace “perché si secca”. Ma sient’ a me, se ti stai accorto, ‘na vutata e ‘na girata, solo un po’ di sale e il tuo burger saprà di quella cosa di cui dovrebbe sempre sapere e spesso non sa: di carne.

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E il panino della Fattoria Carpineto è proprio così: non sono i contorni i protagonisti, non sono le salse, non è il pane. E’ il magnifico e introvabile sapore di un grande hamburger cotto a carboni: succoso, affumicato, profumato, leggermente caramellato.

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Che esce dalla brace e finisce insieme ai formaggi e ai cortorni in un grosso forno, anche questo pensato ad hoc e affidato a Giuseppe, giovanissimo chef: suoi sono i contorni, suo è l’assemblaggio dei panini, sue la maionese e il ketchup fatti in casa, per una volta davvero buoni. Nel “suo forno” la freschissima provola e il provolone del monaco si fondono lentamente, i contorni si riscaldano senza soffriger di nuovo, e il pane si arricchisce di un leggero croccanticcio senza il rischio di bruciature da piastra. IO ADORO TUTTO CIO’.

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puok e med fattoria carpineto 35 ketchup maionese artigianale

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Un panino vero. Senza fronzoli. Semplice e così buono, soddisfa quel gusto ancestrale che è in tutti noi e si manifesta con una sequenza tanto meccanica quanto umana: occhi chiusi per il morso, ancora chiusi per un secondo, spalancati per un attimo, di nuovo chiusi finchè si gode e finchè ce n’è. E quando tutto è finito, e sei contento come quando sei appena stato in campagna a braciare con gli amici, sappi che per il dolce hai un supermercato a disposizione. A te l’immaginazione.

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Agribraceria FATTORIA CARPINETO
— aperto giovedi, venerdi, sabato (pranzo e cena) —
Via Gaetano Salvatore 457 (cortile Superò)
Napoli (NA)

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Egidio Cerrone

Testo e Foto sono proprietà di “Le avventure culinarie di Puok e Med”.
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